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L'E BUTTIJE DI PUMMADORE    right

         

        Le bottiglie di pomodoro


Martedi mattina io mi sono svegliato alle 5:20, per ripartire alla volta di Milano. Mamma Gina era già in " pista " da un'oretta circa....<<...mi sò rsbijate preste stammatine e mo piane piane 'nchè lu freske mi facce li bbuttie di pummadore >> esordisce mentre io mi faccio la barba e preparo le valige da riportare. Una cassetta di bottiglie, una trentina dell'anno scorso, me le sono già caricate in macchina, le userò quest'inverno in sostituzione dei pelati che si comperano al supermercato. Senza scomodare i grandi poeti del passato, ( il greco Esiodo alla fine dell’ VIII secolo a.C. elencò in un poema tutte le opere dei contadini nell’arco dell’anno ), fra gli appuntamenti più solenni della nostra tradizione gastronomica chietina ci piace ricordare quello della ”passata di pomodoro”. Totalmente sconosciuta ai giovani metropolitani di oggi, ” fare le bottiglie ” è incombenza che torna puntuale nel periodo di ferragosto. Nei paesi abruzzesi dell’entroterra, ma anche in quelli della fascia costiera non c’è famiglia - nel cui nucleo figuri una persona anziana - che di questi tempi non si accinga a questa vecchia usanza. Nell’area vestina la materia prima arriva da Loreto, Pianella, Villa Carmine di Montesilvano ed altri paesi, dove si coltivano alcune varietà di pomodori come Romanelli, Nostrani, Olandesi o Sanmarzano. « Premesso che questa usanza - spiega mamma Gina - finirà quando scompariranno gli ultimi anziani della nostra generazione, fare le bottiglie per me non è una semplice tradizione, ma una necessità che si sposa egregiamente con la pasta all’uovo ammassata in casa. Vuoi mettere il ”sugo di pomodoro” con quello industriale? La pasta acquista tutto un altro sapore con la salsa prelevata dalla bottiglia ». Come si procede per prepararla? « In genere un giorno prima si lavano le bottiglie, ( mamma usa quelle della birra scure da 600 ml ) poi mischiando al 70 percento pomodori nostrani con i Romanelli, si sbucciano, si passano ( oggi per la spremitura si ricorre ad aggeggi elettrici, ma è meglio passarli a mano così si evitano di spremere anche i semi ) il succo viene lasciato cadere su una mappina di lino a scolarsi dell'acqua mano a mano che si spreme e si imbottiglia il succo rimanente, bello denso ». Un tempo mamma tappava  le bottiglie con dei sugheri preventivamente passati nell’olio d’oliva con un attrezzo di lego che chiamavamo attappabbuttije e poi si procedeva a legarli con lo spago. Oggi si tappa con i tappi a corona, per guadagnar tempo. Un quintale di pomodori ”rende” mediamente una cinquantina di bottiglie. Come ultimo atto viene la bollitura - di almeno mezz’ora a bagnomaria - delle bottiglie messe in capaci mastelloni di alluminio con dentro l'acqua, sui megafornelli a gas. ( E ' necessario per sterilizzare il sugo ).Poi con calma l’indomani queste ultime, ormai fredde, si estraggono dal calderone, pronte all’uso, contandone la resa. Un tempo questo rito si consumava sull’aia, oggi ci si accontenta di un magazzino o ampio garage; ma non sono cambiate certe abitudini: chi entra, quasi a voler scacciare un spirito maligno o un sentimento di invidia, pronuncia ad alta voce un augurale ” Sante Martine” e la padrona di casa risponde ”benvenuto”. Un rituale che resiste nel tempo, in quel misto di sacro e profano in cui affonda la nostra cultura abruzzese .  

 

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